Venezia. Il Lofoten International Art Festival porta l’arte in una casa-trappola e in un carcere femminile
LIAF arriva in laguna con Something Out of It, un progetto che lega arte e realtà
In concomitanza della 59. Biennale di Venezia, Something Out of It è la preview della Biennale dell’Artico (al suo 30esimo anniversario), il LIAF-Lofoten International Art Festival, curato dal duo italiano Francesco Urbano Ragazzi. Il LIAF si sviluppa per un mese in diverse location del Circolo Polare Artico e la sua anteprima, arrivata in laguna, si è snodata in due mostre in due sedi diverse: il parlatorio della Casa di Reclusione Femminile della Giudecca e un palazzo privato, Casa Venezia.
Il progetto di anteprima di LIAF porta avanti un nuovo modello di inclusione e sostenibilità affermando un forte legame tra arte e realtà. Entrambi i progetti, a cui non si può rimanere indifferenti, hanno un forte impatto emotivo.
Pauline Curnier Jardin
Dopo il controllo dei documenti (ingressi contingentati) e aver depositato ogni effetto personale nell’armadietto all’ingresso si chiude alle tue spalle una porta che solo una poliziotta potrà riaprire. Uno spazio conclusus dove vedi solo donne in divisa: suore, poliziotte e poi le detenute. Subito la sete di aria e cielo ti assale ma per fortuna, a Venezia, anche un penitenziario è diverso. La Casa di Reclusione Femminile della Giudecca è dotata di un vasto cortile e ampi spazi. Una struttura antica i cui muri hanno tante storie da raccontare. Ma il desiderio di essere nuovamente fuori è sottopelle. Qui circa 60 detenute, appartenenti a 37 nazionalità diverse, devono scontare pene di almeno cinque anni.
L’artista, vincitrice del Preis der Nationalgalerie, Pauline Curnier Jardin (Marsiglia, Francia 1980) ha realizzato, in collaborazione con le detenute della Casa di Reclusione Femminile, un’installazione permanente. Ha reinventato la stanza del parlatorio che collega lo spazio interno del carcere al mondo esterno, trasformandolo in uno spazio rituale e d’incontro. Non si tratta di un intervento che si colloca nel presente ma di un ponte umano, sociale e storico che collega il passato, il presente fino al futuro attraverso l’uso del parlatorio, che ora è diventato uno spazio ibrido di accoglienza. Un abbraccio artistico che, al contrario fisicamente, le detenute non possono più avere con i loro familiari a causa della pandemia.
Il progetto di Curnier Jardin ha recuperato e rivela la storia del carcere. Questo, prima di diventare un istituto penitenziario, era il Monastero delle Convertite già attivo nel XVI secolo. Da allora, per cinquecento anni, è stato sempre abitato soltanto da donne, circa 300 che si erano fatte suore, probabilmente non per scelta. Le convertite erano ex prostitute, ovvero le peccatrici più belle del paese, che diventavano suore. Venivano portate in barca sull’isola e lasciate lì per sempre. A volte erano recluse nobili e belle vergini in attesa del matrimonio.
Recenti ricerche hanno appurato che, in alcune occasioni come il carnevale, il parlatorio dell’istituzione religiosa era usato dalle suore come un palcoscenico. Le monache si esibivano in spettacoli teatrali davanti alle loro famiglie e alle autorità veneziane. Questi spettacoli carnevaleschi consentivano alle suore di spogliarsi delle vesti monacali, indossare abiti mondani, vestirsi da uomini e cantare. Sospendendo così le regole sociali e religiose che imponevano alle donne una vita contemplativa. Tali spettacoli di suore/prostitute/attrici erano molto apprezzati dall’alta società.
Invertendo le gerarchie istituzionali le detenute, che hanno contribuito alla sua realizzazione, sono allo stesso tempo committenti e beneficiarie dell’opera. Attraverso una serie di laboratori e sessioni di disegno – grazie alla collaborazione con la cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri e del collettivo di artisti veneziani Casablanca Studio – l’artista e il gruppo di detenute hanno riprogettato e dipinto il parlatorio del penitenziario, decorandolo con proiezioni, arredi e dipinti murali. Nel parlatorio sembra entrato il cielo. Un wall painting color indaco, con elementi naturali e corporei, bordato da una fascia rossa raso terra, è integrato con un video dell’artista, Adoration, scritto collettivamente insieme ad alcune delle donne che vivono nel penitenziario.
Ribaltando la logica spettacolare ed elitaria delle biennali d’arte, e soprattutto l’isolamento che ha penalizzato la vita nelle carceri durante la pandemia, l’installazione (che include anche un video) è destinata all’uso delle detenute.
La cooperativa Rio Terà dei Pensieri, che ha collaborato, si occupa dell’inserimento lavorativo di detenuti e persone in esecuzione penale nel territorio veneziano. I loro prodotti sono artigianali, una filiera produttiva attenta al riciclo di materiali, al recupero di risorse e rispettosa dell’ambiente. Nella casa di reclusione femminile c’è l’Orto delle Meraviglie di seimila metri quadrati (agricoltura biologica). Qui lavorano, insieme all’agronomo, 6-7 detenute.
Nell’antico orto del monastero delle Convertite è stata avviata, nel 1994, la prima attività della cooperativa. Oggi produce essenze utilizzate nel laboratorio di cosmetica e verdure di stagione che vengono vendute in un banchetto accanto all’ingresso del carcere e fornite a un gruppo di acquisto solidale (GAS).
L’intervento artistico di Pauline Curnier Jardin, sviluppatosi su una delicata trama storico-sociale, è sincronico per il lavoro svolto insieme alle detenute e diacronico perchè ripercorre, e ingloba, la storia del convento.
Tomaso de Luca
Il progetto di anteprima del Liaf 2022, a cura di Francesco Urbano Ragazzi, irrompe in un ambiente domestico, Casa Venezia (nel distretto di Castello). La residenza dei collezionisti Massimo Adario e Dimitri Borri ospita la nuova installazione video, Desperate Times, di Tomaso de Luca (Verona, Italia 1988). Una produzione in collaborazione con CASE CHIUSE di Paola Clerico.
Tomaso De Luca, vincitore del premio Maxxi Bvlgari del 2021, continua la sua indagine sulla crisi del modernismo e sui processi di gentrificazione causati da fenomeni come l’epidemia di AIDS o i più recenti cambiamenti climatici.
Gli ambienti domestici diventano, invece che rassicuranti, inquietanti e insidiosi. De Luca sfata il mito del comfort attraverso sculture, fotografie e un video. Così i mobili e gli oggetti di arredo diventano trappole potenzialmente letali, la cui attivazione viene rappresentata attraverso una grammatica visiva tra l’ironico e l’inquietante. Pareti mobili, pavimenti chiodati, ghigliottine diventano sculture.
La perfezione estetica degli ambienti maiolicati color malva mette a disagio, crea quasi un’atmosfera sospesa dove tutto può accadere e gli ambienti diventare improvvisamente pericolosi.
L’artista, che vive e lavora a Berlino, ha tratto ispirazione per il suo progetto da un fatto di cronaca realmente accaduto. Nel 2019, a Philadelphia, un immobiliarista è sfuggito a una ghigliottina amatoriale nascosta in una delle sue proprietà che era stata progettata dagli inquilini del palazzo per ucciderlo.
De Luca collega questo episodio alle conseguenze della gentrificazione climatica che sta travolgendo la città americana.
L’atto violento è un estremo e disperato tentativo di resistere a dinamiche economiche sempre più brutali e che di fatto si abbattono in modo violento su tutti. Così la casa non è più un luogo tranquillizzante o rilassante ma un rifugio infido e minaccioso.
Francesco Urbano Ragazzi è un duo curatoriale italiano, fondato a Parigi nel 2008, con una formazione in ontologia, gender e media studies che ha collaborato con istituzioni pubbliche e private. Ha sviluppato una piattaforma di ricerca The Internet Saga. Dal 2017 i due dirigono l’archivio dell’artista femminista Chiara Fumai. Nel 2021 hanno curato Fuori 1971-1974, un’antologia dedicata al primo movimento di liberazione gay in Italia.
Gli aspetti che mi hanno colpito e che ho particolarmente apprezzato di questa preview del LIAF è il fatto di essere una proposta artistica impegnata nel sociale unita al tentativo di instaurare un dialogo tra locale e globale.
Something Out of It è stato prodotto in collaborazione con CASE CHIUSE di Paola Clerico, Zuecca Projects, Rio Terà dei Pensieri, DROMe, Casablanca Studio. Il progetto è sostenuto da Kunsternes Hus, Centraal Museum Utrecht, EVA International, Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea di Göteborg e dal programma Italian Council (X Edizione) promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
Alla Biennale dell’Artico, nel territorio sciamanico della cultura nomade Sami delle isole Lofoten, il duo curatoriale Francesco Urbano Ragazzi continuerà sicuramente a stupirci e ad emozionarci .
Informazioni
Pauline Curnier Jardin
Casa di Reclusione Femminile – Giudecca, 712, 30133. Venezia
Accessi: 20-21-22 Aprile, 10–12.
Registrazione obbligatoria
Tomaso de Luca
Casa Venezia, Calle Seconda Dei Orbi, 5201 Castello, Venezia
18-24 aprile, 2022, 10 AM-6PM