Il male secondo Brando Lee: “Don’t look at the demon”, dal 17 agosto al cinema

Il male secondo Brando Lee: “Don’t look at the demon”, dal 17 agosto al cinema

Film basato sull’esperienza personale del regista e su rituali religiosi realmente esistiti e poi proibiti

Don’t Look At The Demon

Don’t look at the demon potrebbe sembrare un copione già visto all’interno del filone horror: la casa infestata. Ma la pellicola ben presto si rivela una visione originale del regista.
Brando Lee, cresciuto nella periferia di Kuala Lumpur, ha assorbito, come racconta lui stesso, le influenze di varie religioni oltre quella del cristianesimo come del buddismo thailandese e del taoismo. Avendo studiato credenze e rituali ci presenta per la prima volta il Kuman Thong (“bimbo d’oro”), riferito in Malesia all’uso di feti di bambini morti.

Don’t Look At The Demon

Questi venivano asportati dalle madri gravide ed essiccati per poi evocare gli spiriti di questi bambini per potenziare le abilità degli stregoni locali. Questa pratica è stata fortunatamente vietata da tempo e come amuleti sono state usate bambole.
Proprio in questa zona orientale del mondo si svolge il film. La protagonista è Jules (Fiona Dourif) una medium con delle capacità che sono una maledizione più che un dono. Raccoglie una richiesta di aiuto di una coppia, Ian e Martha, a Fraser’s Hill in Malesia. Jules fa parte di una troupe televisiva, insieme al fidanzato-produttore Matty, che investiga sul paranormale.

Don’t Look At The Demon

All’inizio sembra che la coppia voglia solo un po’ di notorietà non trovando nessuna manifestazione o entità. Ma poi il demone si materializza nello scantinato scatenando tutta una serie di eventi nefasti.
Indagando su questo essere malvagio si scopre anche l’oscuro passato della nostra protagonista. Entra in scena un personaggio originale, invece del solito prete, ad aiutare il team del paranormale sarà un monaco tibetano che spiega loro: “Il male non esiste, esiste solo l’ignoranza”.

Il regista usa lo sguardo enigmatico e penetrante della Dourif per accrescere l’inquietudine e la paura dell’entità infestante.
Molto suggestivi sono i paesaggi che danno freschezza al racconto e la regia risulta fluida, con alcuni jumpscare, con effetti speciali che evitano i tempi morti e tengono alta la tensione. Una suspense che culmina in un finale imprevedibile come a rimarcare l’irrisolvibilità e la percezione parziale del mondo paranormale.

Don’t Look At The Demon

Inoltre possiamo rintracciare riferimenti ai miglior lungometraggi del genere. Da L’esorcista di William Friedkin (deceduto pochi giorni fa e che sarà presente alla Biennale Cinema di Venezia 2023 con il suo ultimo film) ad Amityville Horror di Stuart Rosenberg fino a Poltergeist di Tobe Hooper. Del resto Brando è cresciuto con questi “pilastri hollywoodiani” e li ha rivisitati con le sue personali esperienze malesi. Lui stesso ha raccontato: “Incuriosito dalle esperienze che ho vissuto, come sentire i suoni dell’invisibile e catturare immagini dell’invisibile/spirito sulla macchina fotografica, per poi essere costretto a cancellarle dalla stessa forza, ho iniziato a esplorare il “loro” intorno a noi. Sono entusiasta di poter portare sullo schermo cinematografico la mia visione personale, con la mia esperienza diretta che mostra una svolta realistica alla tipica storia di possessione”.

Don’t Look At The Demon – Voto 6,5 (max 10)

Informazioni

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Gianluca Furbetta

Freelance. Appassionato di cinema, enogastronomia e comunicazione. Dai gusti semplici, si accontenta del meglio. Laureato in Scienze delle comunicazioni (La Sapienza) e Master in comunicazione enogastronomica (Gambero Rosso). Email: gianluca.furbetta@gmail.com

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