42TFF. My Dead Friend Zoe, dal 28 febbraio al cinema

La mia amica morta Zoe, quando l’orrore della guerra continua dopo il ritorno a casa
Di pellicole che trattano del PTSD (stress post-traumatico) ce ne sono state tante, ma il modo in cui l’ha trattato il neo regista Kyle Hausmann-Stokes in My Dead Friend Zoe, presentato alla 42 edizione del TFF, risulta sicuramente originale. Il film ha vinto il South by Southwest Narrative Spotlight Audience Award.
Merit, (prova eccezionale della protagonista Sonequa Martin-Green), veterana dell’esercito, è legata da una profonda amicizia con Zoe (Natalie Morales).

L’amica però muore e Merit sprofonda in un dolore interiore profondo. Ha bisogno di entrare in un gruppo di sostegno per soldati capitanato da un magistrale Morgan Freeman. La ragazza fatica a reinserirsi nella realtà quotidiana fino a quando il nonno, (interpretato da un fomentato Ed Harris) anche lui veterano di guerra, è costretto ad accettare l’aiuto della nipote per un incombente Alzheimer.

Il nonno riesce a ricondurre Merit alla realtà quotidiana, quando lei “viaggia” troppo fuori la vita reale, chiusa nel rapporto surreale con Zoe con la quale parla continuamente. Il grande senso di colpa della protagonista fa sì che durante tutta la giornata lei sia accompagnata da Zoe, l’amica defunta, per lei presenza costante nell’esercito. La segue e commenta quanto accade ogni giorno accettando le battute sarcastiche di Zoe e la sua apparente leggerezza. Lo spettatore è coinvolto nel seguire in diretta l’elaborazione del lutto di Merit. Non solo facendo dileguare l’amica Zoe ma soprattutto accettando e metabolizzando i suoi errori nel tentativo di superare il suo enorme dolore.

Lo stesso regista-sceneggiatore Kyle viene da un’esperienza di cinque anni nell’esercito e quindi anche lui ha dovuto fare i conti con il PTSD. Nel lungometraggio ha trovato un equilibrio tra la sua militanza e il rischio di autoreferenzialità. Da una parte nel film c’è una mano ancora ferita, e consapevolmente emotiva, dall’altra il regista resiste alla tentazione di scivolare nel melodrammatico.

In proposito Hausmann-Stokes ha dichiarato: «Questo film è ispirato al mio percorso personale con lo stress post-traumatico e il senso di colpa da sopravvissuto dopo il ritorno dalla guerra. Racconta come il mio senso di colpa sia diventato il mio unico amico, impedendomi di parlarne, specialmente durante la terapia. Fino a quando alcuni veterani del Vietnam, tra cui mio nonno, mi hanno mostrato il prezzo che si paga vivendo nel passato. Questo film è per loro, per i compagni d’armi che ho perso e per le migliaia di veterani, coniugi e familiari che ho incontrato lungo il cammino. Raccontando le loro storie… ho finalmente trovato il coraggio di raccontare la mia».
In conclusione ci troviamo di fronte una pellicola a tratti un po’ patriottica e nazionalista ma che si occupa del disagio interiore di una veterana con semplicità, anche con leggerezza grazie a Zoe. Il regista racconta la sua esperienza senza essere troppo egocentrico coadiuvato da un cast di alto profilo.