The Post, un bel film sulla libertà di stampa, il coraggio della verità e le donne
Steven Spielberg in piena forma riprende, in The Post, un pezzo di storia americana e dell’informazione per accendere i riflettori sui nobili principi ispiratori della nobile professione del giornalismo al servizio della verità.
Questo film ha la capacità di farti risentire il profumo dell’inchiostro, la musica delle macchine da scrivere, il rumore delle rotative e soprattutto il coraggio dell’indipendenza giornalistica e della verità che sfida, pur temendolo, il potere politico. Una professione che dovrebbe avere come principio ispiratore la teoria etico-politica enunciata da Gandhi: satyagraha (fermo nella verità).
La frase filo conduttore: del film “La stampa doveva essere al servizio dei governati, non dei governatori.” (dalla Suprema Corte: il New York Times contro gli Stati Uniti 403 U.S. 713 estratto dalla sentenza del giudice Hugo Black).
La grandezza di Spielberg (premio Oscar) sta, non solo nel tema scelto incredibilmente attuale, ma nel riprendere una vicenda giornalistica di cui si conosce tutto compreso l’esito, e riuscire a rappresentarla come un thriller, non mollando lo spettatore nemmeno per un attimo. Questo grazie ai movimenti della sua macchina da presa che indagano, perlustrano ogni scenario, inseguono i personaggi e spiano ogni espressione. Anche il montaggio (Michael Kahn, A.C.E. Sarah Broshar) non lascia spazi e momenti vuoti, nessun fotogramma è inutile o superfluo.
L’interpretazione dei due protagonisti Tom Hanks (nei panni di Ben Bradlee, direttore del giornale) e Meryl Streep (Katharine Graham, alla guida del The Washington Post) è superlativa. Peccato per il doppiaggio, una Meryl Streep dalla voce stentorea di una anziana troppo avanti con gli anni, che sfibra un po’ il personaggio, carico invece di forza ed energia. Del resto basta vedere un trailer del film in lingua originale per afferrare la differenza. In ogni caso i due attori sono perfettamente a loro agio nell’interpretare due pietre miliari della storia del giornalismo e dell’informazione.
Il soggetto del film non è solo il grande tema della libertà di stampa ma è anche un film sulle donne. Sul passaggio epocale della donna tutta casa e famiglia alla donna che lavora, imprenditrice, che dirige, che nonostante i suoi timori e naturali incertezze lo fa bene e meglio di tanti uomini suoi consiglieri. Non perché sia una fredda calcolatrice e assetata di potere, Katharine Graham dirige The Washington Post con la testa, con il cuore, con l’anima, come le donne sono capaci di fare. Mantenendo fede a quegli ideali che hanno ispirato il primo emendamento alla Costituzione: “Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizione al governo per la riparazione dei torti”.
Negli anni Settanta il potere era, e spesso ancora oggi è, di norma maschile. Per chi pensa che sia un’affermazione esagerata è sufficiente sapere che in Italia attualmente più della metà delle donne sono disoccupate e solo una percentuale irrisoria, di quelle che lavorano, hanno ruoli dirigenziali. La sensibilità di Spielberg mostra l’autorevolezza con cui Katharine Graham prende decisioni difficili con fermezza di fronte a una pletora di uomini che spesso volutamente la ignorano non ritenendola all’altezza perché donna. Liz Hannah (sceneggiatrice) ha scelto di rappresentare il momento in cui Kay (Katharine Graham) sceglie di pubblicare i Pentagon Papers, mettendo a rischio il suo giornale, anche dopo che una corte ne aveva ordinato l’interruzione al New York Times.
Questo film commuove non solo perché racconta l’orgoglio del giornalismo e della libertà di stampa ma anche perché riscatta il ruolo della donna nella società, che sta al potere non solo per perseguire il profitto ma come essere umano integro. Si preoccupa della sorte dell’azienda e dei suoi dipendenti ma, pur rischiando, mantiene fede ai suoi ideali, gestisce un potere senza essere asservita a quello politico per averne favori.
Nel 1971 Katharine Graham (Meryl Streep), la prima donna alla guida del The Washington Post, e Ben Bradlee (Tom Hanks), direttore del suo giornale, svelano al mondo la copertura di segreti governativi sulla Guerra in Vietnam, mettendo a rischio la loro carriera e libertà personale. Uno scontro senza precedenti tra la stampa e le istituzioni, in nome di una scelta morale ed etico professionale, per divulgare come ben quattro presidenti degli Stati Uniti avevano nascosto agli americani, e al mondo, che la Guerra in Vietnam era destinata a una sconfitta.
Nessuno aveva il coraggio di affermarlo, di scalfire il patriottismo a stelle strisce, e così si continuavano a inviare ragazzi in Vietnam a morire per una guerra impossibile da vincere.
The Post è basato sulla storia vera della vicenda che ha visto il Washington Post e il New York Times alleati, dopo la scoperta del Times del rapporto top secret denominato Pentagon Papers. Il rapporto di 7.000 pagine, dense di segreti governativi, era stato redatto, nel 1967, per il Segretario alla Difesa Robert McNamara, amico di Katharine Graham. La fonte che aveva rivelato l’esistenza di questo rapporto era un analista militare che aveva collaborato alla sua redazione, Daniel Ellsberg, che era stato due anni in Vietnam con il Dipartimento di Stato americano.
L’amministrazione Nixon provò in ogni modo a bloccare la pubblicazione dei documenti. A rischio di essere incriminati per tradimento, l’editrice, il direttore e i giornalisti del Washington Post, pubblicarono le verità che il governo nascondeva. La sentenza a loro favore sancì il principio che la libertà di stampa è necessaria per garantire l’affidabilità dei leader di una democrazia.
Ben quattro presidenti (Truman, Eisenhower, Kennedy e Johnson), contrariamente alle loro dichiarazioni di pace, avevano ingannato l’opinione pubblica appoggiando i militari e la CIA che continuavano ad aumentare l’impegno dell’esercito in Vietnam, dove morirono 58.220 soldati americani e un milione di persone.
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