‘Stronger’, tra coraggio e retorica #RomaFF12
‘Stronger’ è il racconto del percorso riabilitativo fisico ed emotivo di Jeff Bauman (Jake Gyllenhaal), vittima dell’attentato di Boston in cui perse le gambe.
‘Stronger’ è tratto dal memoir best-seller del New York Times scritto da Jeff Bauman. Racconta la storia vera di questo ragazzo, un operaio di 27 anni (Jake Gyllenhaal), che era alla Maratona di Boston (15 aprile 2013) per provare a riconquistare la sua ragazza, Erin (Tatiana Maslany).
Jeff si trovava vicino al traguardo al momento dell’esplosione della bomba e ha perso nell’attentato entrambe le gambe. Il regista cala la sua macchina da presa tra la folla, nel fumo dell’esplosione, non risparmia al pubblico le carni devastate, quasi si sente l’odore di bruciato. Jeff stesso, in più occasioni, afferma che l’essersi trovato per caso in tale sventurata circostanza non lo fa sentire un eroe. Ma è l’America, la sua famiglia, soprattutto la madre a volerne fare un eroe. Boston, dopo questa tragedia di cui è vittima, ha bisogno di risollevarsi, di riscattarsi, che qualcuno rappresenti la “Forza di Boston” e il suo ritrovato orgoglio. Molti luoghi che si vedono nel film sono quelli in cui i fatti sono realmente accaduti.
Un fotografo scatta una foto mentre Jeff viene soccorso, la parte inferiore delle sue gambe non c’è più e l’immagine fa il giro del mondo trasformando Jeff nel simbolo di quella tragedia. Jeff, dopo aver ripreso conoscenza, aiuta la polizia a identificare uno degli attentatori per poi ritrovarsi ad affrontare la salita più dura, accettare la perdita delle gambe e la lunga riabilitazione. In questo lungo percorso, in cui sarebbe stato più facile abbandonarsi all’alcol, cosa che Jeff sperimenta, gli sono vicine costantemente la madre a la sua ragazza. Soprattutto queste due donne sono eroiche. Non mollano mai e non lasciano che Jeff sia preda della depressione.
Non è un film sul terrorismo, né si interroga su di esso o sulle sue ipotetiche cause. Il film è tutto incentrato sul percorso ‘eroico’ di recupero di Jeff, un uomo amputato che lotta per riprendersi la sua vita. Jake Gyllenhaal non solo ha accettato di interpretare il protagonista ma ha voluto anche produrre il film (con la sua nuova casa di produzione, Nine Stories Productions). Gran parte del film è dedicata al recupero fisioterapico di Jeff e al suo dover imparare a camminare di nuovo grazie alle sofisticate protesi realizzate per lui.
Alla conferenza stampa erano presenti autore del libro, Jeff Bauman, e l’attore Jake Gyllenhaal, che ha tenuto a specificare come “abbia avuto molto da imparare da questa storia. La cosa più importante è esserci”.
Jeff Bauman ha raccontato il primo incontro con Gyllenhaal in cui si sono “visti in un ristorante italiano e così si chiude il cerchio…”. Mentre si recava al ristorante Gyllenhaal pensava: “‘Non lo vedo, non ci riesco’. Poi gli ho stretto la mano e ho visto un essere gentile e allora mi sono detto: ‘c’è la posso fare’. E lui fa questo effetto”.
Bauman ha precisato: “Non mi piace il termine ‘eroe’, ci sono molti eroi nella mia vita. Quelli che mi hanno salvato la vita, sono quelli i veri eroi. Sono andato alla maratona per amore. Mi piacerebbe avere ancora il cartello che avevo scritto. Per quanto mi riguarda sono una persona normale”.
Gyllenhaal ha conosciuto “persone che hanno avuto il disturbo post traumatico e ne ho parlato molto con loro. Un soldato mi ha consigliato ‘tratta la persona come avesse un cuore spezzato'”.
Quello che Bauman ha apprezzato più del film è che”mostra delle cose di cui io non ho parlato. Nella scena della doccia quando torno per la prima volta a casa. La prima cosa è l’isolamento, ho cacciato Erin. Ti nascondi in un buco. Jake l’ha portato al cinema e mi ha fatto piangere. Prima non andavo dal terapista andavo al bar. Nel film ho rivisto tutti gli errori. Ora non bevo, non vado in giro per i pub e ho cura di me”.
La pellicola sembra un film sui reduci, in realtà Bauman ha “incontrato molti reduci e abbiamo in comune una esperienza traumatizzante. Molti si isolano. Si torna dalla guerra e ci si trova isolati. Sento che c’è qualcosa in comune con altri sopravvissuti. Mi hanno costretto a uscire dal mio guscio ne avevo bisogno”.
“Fare il libro e il film”, ha continuato Bauman, “mi ha dato l’opportunità di dimostrare agli altri che ce la si può fare. Spero che persone che hanno delle disabilità vadano a vedere il film per dimostrare che non sono soli. È importante essere interconnessi con gli altri”.
Gyllenhaal ha aggiunto: “essere questo simbolo l’ha schiacciato. Tutti noi vogliamo aiutare ma non sempre siamo disposti ad ascoltare. Tutti avevano ottime intenzioni ma per lui è stato difficile sopportare il peso di essere un simbolo”. Proprio una società dello spettacolo (entertainment), come quella americana, ha bisogno sempre di nuovi eroi. Ben lo comprende la madre di Jeff che dà in pasto ai media la vita del figlio. Ma è proprio qui che si apre la lacerazione, Jeff diventa sempre più eroe quando ancora deve diventare uomo e padre.
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