Venezia 79. Love life, distanti ma vicini

Il film sull’impermanenza di Kōji Fukada, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, è già in sala

ll nuovo film di Kōji Fukada, Love Life, presentato in concorso alla 79. Mostra del Cinema di Venezia è già nelle sale italiane con Teodora Film. Il giovane regista (nato il 1980), già premiato a Cannes per Harmonium, con nove film all’attivo (tra cui la serie The Real Thing) e alcuni corti, è uno dei maggiori autori giapponesi del momento.

Il titolo Love Life è ispirato dalla canzone omonima di Akiko Yano, una delle più celebri cantanti e musiciste giapponesi. Akiko ha collaborato con Ryūichi Sakamoto, Pat Metheny e Peter Gabriel.
Fukada firma un’opera sul Giappone di oggi e sull’impermanenza della vita. La protagonista del film, Taeko (Fumino Kimura), sembra avere una vita tranquilla insiema al figlio Keita e il marito.

Ma già dalla prima festa in famiglia iniziano ad aprirsi delle crepe che fanno intuire che non tutto è roseo in famiglia. Keita non è figlio del marito attuale di Taeko e questo fatto la rende piuttosto invisa al suocero. Un evento drammatico sfoglierà, come in un origami, i retroscena della vita di questa famiglia e segnerà il ritorno del padre biologico del bambino (Atom Sunada), di cui la donna non aveva notizie e contatti da anni.

L’ex marito di Taeko (Park) è coreano e sordo, comunica attraverso il linguaggio dei segni. Taeko è l’unica che lo capisce. La lingua dei segni è anche al centro di alcune scene chiave del film. Ed ecco che si intersecano varie lingue, giapponese e coreano, e il linguaggio dei segni. Ma entra in scena anche una ex del marito di Taeko, Jiro (Kento Nagayama).

Sullo sfondo la realtà del Giappone, di cui il regista sottolinea l’impermanenza con il cellulare che ogni tanto squilla allertando i residenti per un terremoto in arrivo. Nonostante l’educazione formale giapponese le emozioni irrompono. All’improvviso un evento inaspettato o un un terremoto possono sconvolgere vite e rapporti e diventa necessario trovare un nuovo equilibrio.
A poco a poco tra alienanti condomini e attraverso “segni”, spesso più importanti delle parole, il regista ci inoltra in questa storia familiare intessuta di amore e dolore. I silenzi, che conducono l’attenzione sulle espressioni e sui gesti, a volte raccontano più dei discorsi.

Il regista ha spiegato così le sue intenzioni: “la morte può intromettersi improvvisamente nella nostra vita quotidiana, senza alcun preavviso e senza alcun significato. Per trasmettere questa sensazione al pubblico, ho inserito diversi eventi casuali […] per distogliere l’attenzione. Poi la morte interrompe bruscamente tutto e i diversi personaggi devono affrontare questo evento all’interno delle proprie relazioni, dandogli ciascuno un significato proprio”.