Venezia 79. “Il signore delle formiche”, il caso Braibanti

Il film necessario di Gianni Amelio contro l’omofobia di oggi e sulla condanna di Aldo Braibanti per plagio per punire l’omosessualità. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e già in sala

Alla fine degli anni Sessanta il drammaturgo, intellettuale eretico marxista, poeta, mirmecologo (studioso del comportamento delle formiche, una “collettività intelligente”) e omosessuale Aldo Braibanti (interpretato da Luigi Lo Cascio) fu processato a Roma per plagio. Nel processo di primo grado il Pubblico Ministero chiese per Braibanti una condanna a 14 anni di reclusione, un anno in meno dell’omicidio. L’intellettuale fu condannato a nove anni di reclusione per aver sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, un suo studente e amico maggiorenne, nel film: Ettore Tagliaferri (interpretato dal bravo esordiente Leonardo Maltese).

Braibanti alla fine scontò, per meriti come ex partigiano (adepto del PC clandestino) a Firenze nel 1940, due anni di reclusione. La madre di Braibanti morì, la vita dell’intellettuale fu segnata per sempre ma la vittima, la cui vita fu distrutta irreparabilmente, fu soprattutto lo studente con cui ebbe una relazione che fu rinchiuso in manicomio e sottoposto a ripetuti elettroshock.

Il film prende spunto da fatti realmente accaduti. Un processo, che all’epoca fece scandalo, per raccontare una storia di più persone. Braibanti, dopo essere stato insegnante e organizzatore culturale in Emilia, si trasferisce a Roma dove lo raggiunge il suo allievo maggiorenne e compagno, Ettore nel film. Accanto all’imputato è protagonista una famiglia, cosiddetta “normale”, che per “guarire” dall’omosessualità il figlio maggiorenne lo rinchiude, contro la sua volontà, in un ospedale psichiatrico dove viene sottoposto a numerosi e devastanti elettroshock.

Sul banco degli imputati non sta una famiglia fascista – che ha commesso reati: rapimento e sequestro di persona (il ragazzo viene prelevato con la forza dalla pensione in cui viveva) – ma l’intellettuale, compagno del ragazzo, che viene condannato perchè omosessuale e di sinistra. Una famiglia, cattolica e ottusa, che calpesta la dignità altrui che ritiene riprorevole e vieta la lettura di libri “che abbiano meno di 100 anni”. Anche gli accusatori esibiscono la loro mediocrità maschile. Fuori dell’aula stanno i pochi sostenitori di Braibanti e un’opinione pubblica per lo più distratta o indifferente.

Solo un cronista dell’Unità, Ennio Scribani (il bravo Elio Germano), tenta di ricostruire la verità, affrontando sospetti e censure. Provocatoriamente dice al fidanzato della cugina (Sara Serraiocco), che viene da Catanzaro (la stessa Calabria di Amelio): “Se sei omosessuale, o ti curi o ti spari”.

Un film sulla violenza, sull’ottusità della discriminazione e sull’amore sottomesso al conformismo. Uno spaccato della provincia italiana negli anni Sessanta di un boom economico che non andò di pari passo con quello sociale, politico e culturale. Bellissime le architetture emiliane con i loro portici in cui sono girate molte scene del film.

Dal Sessantotto, anni in cui si credeva che il cambiamento fosse imminente, la società non è molto progredita. Dietro un’apparente permissività si annidano pregiudizi che resistono ancora, generando odio e disprezzo per ogni “irregolare”. Con questo film Gianni Amelio vuole infondere il coraggio di ribellarsi ai pregiudizi perchè, come ha dichiarato:: “Su quel banco degli imputati avrei potuto esserci io”.

Purtroppo oggi l’opinione pubblica ha smesso di scandalizzarsi e per questo le “persecuzioni”, che sanno d’inquisizione, contro “diversi” e “dissidenti” ancora continuano. Eppure nell’aristocrazia o nel cinema non solo l’omosessualità era tollerata ma perfino esibita. Come nella scena della festa dopo la quale Braibanti dice a Ettore: “Io non sono come loro, ma sono anche come loro”.

Alcuni anni dopo il reato di plagio – previsto dall’art. 603 del codice penale: “chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con lea reclusione da cinque a quindici anni” – verrà poi abrogato. Purtroppo è stato usato, come nel caso Braibanti, a punire chiunque fosse considerato “diverso”. In tal modo i “diversi” di ogni genere erano ritenuti fuorilegge dalla norma.

Ma a distanza di decenni il film di Amelio è ancora necessario e attuale contro i rigurgiti omofobi e razzisti in una società multietnica e fluida. Ci sono ancora esponenti politici che inneggiano alla famiglia normale/eterosessuale e si scagliano contro “devianze” e diversità.

Non ultimo all’interno della stessa sinistra si è annidato un conservatorismo sessuale (vedi le vicende di Pier Paolo Pasolini), una cultura sessuofobica. Inoltre si avverte sempre la necessità di non fermarsi e di continuare a lottare per difendere i diritti acquisiti e da acquisire.