40TFF “EO”, il mondo visto da un asino

Una favola contemporanea sull’empatia tra uomini e animali
EO, il film del maestro Jerzy Skolimowski, presentato al Torino Film Festival e ora in sala, è vincitore del Premio della Giuria al Festival di Cannes 2022 (ex aequo con Le otto montagne), ed è stato selezionato per rappresentare la Polonia agli Oscar,
EO è la storia di un asinello nomade che dopo essere stato liberato da un circo inizia un lungo viaggio attraverso la campagna polacca fino a giungere in Italia, incontrando e vivendo crudeltà, gioie e dolori dell’umanità. Lungo il suo tragitto EO incontra un giovane prete italiano (Lorenzo Zurzolo), una contessa (Isabelle Huppert) e una turbolenta squadra di calcio polacca.

Vagamente ispirato dall’Au Hasard Balthazar di Robert Bresson il film è una versione poetica, umanistica e agrodolce di un road movie. Skolimowski: “Diversi decenni fa, ho detto in un’intervista (penso che fosse Cahiers du Cinéma) che l’unico Il film che mi ha fatto versare lacrime è stato [di Bresson] Au Hasard Balthazar (1966). Penso di averlo scoperto poco dopo la sua uscita. Da allora, non ho versato una sola lacrima al cinema. Pertanto, ciò che devo a Robert Bresson è aver acquisito la forte convinzione che rendere un animale un personaggio in un film non è solo possibile, ma può anche essere una fonte di emozione”.

Infatti il regista ha aggiunto: “Volevo soprattutto fare un film emotivo, basare la narrazione sulle emozioni, molto più che in uno dei miei film precedenti”. Il mondo visto dallo sguardo di un asinello che ci richiede di estendere i confini della nostra empatia. Un eroe a quattro zampe che evidenzia i mali sociali, che suonano come campanelli di allarme per un’individualismo sempre più spiccato.

Una fiaba contemporanea in cui un tenero asinello, EO, che viveva sereno in un circo accanto alla dolce Kassandra (Sandra Drzymalska), è costretto ad andare via. L’attrice ha raccontato così la sua esperienza: “Gli animali hanno una sensibilità acuta, percepiscono le tue emozioni, quindi ho cercato di rimanere molto calma e sicura di me stessa. Ero sempre a distanza ravvicinata da loro, mostrando a loro tenerezza”.
Quella del regista è una dichiarazione d’amore per gli animali e la natura. Un’opera tra il grottesco e il poetico, la soggettiva dell’asino che guarda il mondo e l’umanità, spesso incomprensibile. L’animale non viene antropomorfizzato, rimane tale, infatti raglia e resta asinello ma il regista vuole mettere lo spettatore nei panni dell’animale. Forse da questo punto di vista l’uomo può rendersi conto della pericolosa distanza che ha messo tra sè e la natura.

Skolimowski ha diretto grandi attori come Robert Duvall e Jeremy Irons ma dirigere un asino richiede ben altre risorse. Così il regista ha raccontato le tecniche utilizzate: “I registi usano argomenti intellettuali e un linguaggio emotivo per indurre gli attori a raggiungere l’effetto desiderato. Con il mio asino, l’unico modo per convincerlo a fare qualsiasi cosa era la tenerezza: parole sussurrate all’orecchio e alcune carezze amichevoli. Alzare la voce, mostrare impazienza o nervosismo sarebbe stato il percorso più veloce per il disastro”.

Skolimowski ha scelto asini di razza sarda. Voleva un asino grigio con macchie bianche intorno agli occhi. Si è recato in una stalla vicino a Varsavia per vedere l’animale che aveva attirato la sua attenzione nelle foto. Si chiamava Tako, appena l’ha visto ha capito subito che sarebbe stato la star del film. Di fronte al mite asinello rassegnato sta un’umanità ferina, egoista e consumistica, tranne le poche persone capaci ancora di empatia con gli animali e la natura.