DALÍLAND, il biopic sui baffi più famosi del mondo dell’arte

Dalìland, le fragilità e la dipendenza dell’artista catalano, interpretato dal Premio Oscar® Ben Kingsley. Dal 25 maggio al cinema

Dalìland, presentato al Torino Film Festival, inizia – tocco da maestra di Mary Harron – con una storica clip televisiva del 1950: la partecipazione di Salvador Dalì a una trasmissione in cui era il personaggio misterioso da indovinare. Poi il salto temporale a New York, 1974, dove il pittore (ben interpretato nelle sue contraddizioni dal Premio Oscar® Ben Kingsley) sta preparando una mostra. James diventa il suo giovane assistente. Il ragazzo pensa di scoprire la natura dell’arte ma la corte di Dalì servirà a dimostrargli debolezze, fragilità, eccessi e che non è tutto oro quel che luccica nel mondo dell’arte.

James (Christopher Briney) – denominato da Dalì “San Sebastian” per la sua bellezza angelica – rimane inizialmente affascinato e stordito dallo stile di vita sopra le righe, dal glamour e dai party sontuosi e dagli eccessi dell’entourage opportunista del pittore, artista eccentrico, narcisista e anticonformista.

Dalì, geniale artista, è ormai anziano, ipocondriaco, divorato dalla paura di invecchiare e dal dolore per il rapporto logoro con la dispotica moglie Gala (Barbara Sukowa). Un tempo sua adorata musa ora è circondata da giovani amanti opportunisti e ossessionata dal denaro.
Il mondo abbagliante della terza età di Dalì è visto con gli occhi del giovane James che si cala nella vita mondana del St. Regis, dove Dalì abitava la sontuosa suite 1610. Il pittore dipende da Gala ma la sua musa ora è Amanda Lear.

L’era delle stampe fatte in serie per far soldi è interrotta dalla poesia dei flashback di Dalì che racconta a James la nascita del suo amore per Gala. L’incontro con lei e i suoi primi quadri surrealisti. Alla crudeltà materialista della sua seconda vita americana, in cui vuole “cretinizzare il mondo”, è contrapposto il romanticismo e la tenerezza di un ragazzo fragile, innamorato del mare e che è vittima della passione per la moglie russa (Gala) del suo amico poeta Paul Éluard.

L’ultima parte del film è ambientata nell’amata Empordà di Dalì. Ma le scene sono state girate, a causa del Covid, nel Galles del Nord e nel sud della Francia. Un parco naturale, nella zona sud-occidentale della Spagna, di cui sembra di sentire il profumo dei fiori e della salsedine. Uno stupefacente paesaggio roccioso che ha ispirato gran parte delle sue opere. Nel film si vede un’immagine della straordinaria dimora di Salvador Dalì a Port Lligat, dove lui amava chiacchierare con i pescatori. Era per lui il posto più bello del mondo. Non a caso è il luogo dove tutto è iniziato, la sua vita amorosa, artistica e di adulto.

Lì infatti ritorna, sulla spiaggia dove ha incontrato Gala, dove è nata la loro passione. Un amore così travolgente da indurli a vivere insieme in una baracca di ricovero per reti di pescatori, diventata poi una meravigliosa villa sulla scogliera. Chi è stato a Cadaqués, ha percorso i sentieri di quella regione, ha visitato Port Lligat, capirà tutto l’amore che Dalì nutriva per quel paesaggio. Bellissima la scena in cui lui, come un maestro d’orchestra, dirige il vento.

Dall’eccitazione delle feste newyorkesi si passa alla tristezza di un rapporto di coppia, un tempo incrollabile, che negli ultimi anni di vita si è trasformato in un rapporto di dipendenza, con tutte le lacerazioni conseguenti. James nonostante abbia assistito al declino di Dalì, ne abbia sperimentato tutti gli eccessi, limiti e fragilità, è consapevole di quanto la sua vita sia stata più ricca per averlo conosciuto e frequentato.