“Armageddon Time” – Il tempo dell’apocalisse

Quando l’adolescenza diventa un “armageddon” di emozioni, il nuovo film scritto e diretto da James Gray. Dal 23 marzo al cinema.

Armageddon Time (Il tempo dell’apocalisse) – titolo ispirato dalle note di Armageddon Time dei Clash che apre il film – è il nuovo lavoro, per molti tratti autobiografico, del regista James Grey.
Il film è ambientato negli anni Ottanta a New York. Qui il protagonista dodicenne, Paul Graff (interpretato da un giovanissimo e bravissimo Banks Repeta), vive con la sua famiglia ebrea nel Queens.

Il ragazzo inizia a ribellarsi ai dettami della società e alle regole imposte dalla famiglia, comportamento tipico del periodo adolescenziale. Facendo in tal modo preoccupare la madre (Anne Hathaway) mentre il padre (Jeremy Strong) cerca di correggerlo anche con la violenza. L’unica persona con cui va d’accordo e da cui si sente capito e apprezzato è il nonno (un magistrale Anthony Hopkins), il solo ad avere alle spalle storie di persecuzioni e fughe e che cerca sempre di far capire al nipote come difendere i più deboli e i discriminati.

A scuola la situazione non è certamente migliore. Mentre suo fratello frequenta una prestigiosa scuola privata lui va a quella pubblica e fa amicizia con un compagno afroamericano, Johnny Crocker, ripetente, senza genitori pronti a difenderlo e con cui condivide l’allergia alla disciplina e alle regole.

Paul, che non nasconde un animo artistico e sognatore, dopo l’ennesima trasgressione viene punito e mandato, allo scopo di interrompere i contatti con il suo compagno d’avventura, nella scuola privata del fratello, dove tutti sono indifferentemente classisti e razzisti. L’incidente è rivelatore di un bivio per le vite dei due ragazzi.
La classica goccia che fa traboccare il vaso… Pianificano di fuggire per inseguire i loro sogni, ma quando vengono beccati l’unico a pagare sarà solo Johnny per il colore della sua pelle.

Il regista riflettendo sui suoi ricordi ha dichiarato: “Guardando al mio passato, una volta adulto, sono tornato milioni di volte a ripensare a quegli episodi. Il mio amico era una persona straordinaria, molto carismatica. Da giovane bianco, non arrivavo a pensare che la mia razza o classe sociale determinasse il mio accesso alle varie possibilità della vita, ma ovviamente per lui era diverso. Essere incosciente è un lusso unico e un privilegio impagabile. Per questo ho voluto realizzare un film che esaminasse i sottili equilibri fra classi sociali e gruppi etnici per evidenziarne in maniera molto onesta tutte le storture.”

Infatti il regista non vuole essere in nessun modo consolatorio. Lo spettatore non riesce ad empatizzare con Paul sia perché non viene da una situazione difficile sia perché il suo animo nobile e sognatore si nasconde spesso sotto insopportabili capricci, sentendosi un incompreso.
Inoltre quando Paul coinvolge l’amico in un’impresa disastrosa, e si ritrova quasi obbligato a tradirlo per salvarsi, dovrà affrontare una dura verità, per quanto frustrato e infelice: sarà sempre un privilegiato in una società dove dominano il razzismo e i pregiudizi. Sullo sfondo si preannunciano altri stravolgimenti sociali con la corsa alla Casa Bianca di Ronald Reagan.

Il film, quindi, risulta una critica all’ipocrisia di chi si sente migliore di altri. Il regista: “Ricordo di aver scritto quattro parole su un pezzo di cartone per poi incollarlo alla macchina da presa come perenne monito: “Amore. Calore. Ironia. Dolore.” E in questo film, il dolore assume forme molto diverse”. Il periodo adolescenziale è un periodo fondamentale, in cui si compiono scelte che risulteranno determinanti per tutto il resto della vita. Un periodo in cui si cresce in fretta e si cambia insieme al contesto.