A River to River “Lessons in Forgetting”, ovvero la violenza sulle donne in India
- di Antonella Cecconi -
La Giornata contro la violenza sulle donne è stata celebrata anche al River to River – Florence Indian Film Festival, con la proiezione del film “Lessons in Forgetting”, pellicola del regista indiano Unni Vijayan che così ha parlato di questo suo ultimo lavoro e dello scottante tema.
26 novembre 2013
Per la giornata contro la violenza nei confronti delle donne River to river ha previsto una programmazione speciale, tra cui la proiezione del film Lessons in Forgetting, tratto dal romanzo della famosa scrittrice Anita Nair. Si tratta di una pellicola sui problemi più scottanti dell’India: il feticidio femminile, la violenza sulle donne e la discriminazione di genere. Questa è l’intervista al regista del film Unni Vijayan.
La storia che viene raccontata sul grande schermo vede protagonista un padre single alla ricerca delle cause per cui la giovane figlia è stata coinvolta da un grave incidente. Ad aiutarlo a ricostruire quanto accaduto c’è una madre, Meera, abbandonata dal marito.
Lei ha lavorato, precedentemente, al montaggio di documentari
e la vicenda del film è rappresentata come fosse la ricostruzione di
una storia vera. Il dato riportato alla fine del film è purtroppo reale:
dal 1994 in India 10 milioni di donne non sono nate perché abortite. La
storia è inventata?
Il film non è basato su una storia vera, ma sono fatti che
possono accadere. Nel film è descritta sia la realtà urbana che quella
rurale e in entrambe esiste la società patriarcale. Il patriarcato è un
fenomeno presente in molte società e in alcune è molto radicato. In
India c’è una nuova legge contro la violenza sulle donne ma, finché non
cambia la mentalità, questa non sarà mai sufficiente ad eliminare gli
abusi contro il genere femminile. Esiste un rito in alcune zone
dell’India legato all’eliminazione delle figlie femmine. Ora è proibito
abortire quando si conosce il sesso del nascituro (n.d.r. per chi non
vuole figlie femmine è sufficiente fare un’ecografia per conoscere in
anticipo il sesso e abortire, per questo è stato proibito ai medici di
non dare risposte in tal senso ma, come si vede anche nel film di
Vijayan, alcuni medici si lasciano corrompere per soldi e informano i
genitori). Nel caso di famiglie benestanti i genitori cercano di
concepire figli maschi attraverso la selezione di cromosomi, ma la
pratica è molto costosa e soltanto poche persone possono permetterselo.
Il fatto di avere un figlio maschio è ancora l’ambizione di molte
persone.
Che tipo di rapporto c’è stato con Anita Nair, autrice del romanzo e sceneggiatrice del film?
Il rapporto è stato ottimo, ha accettato di lavorare con noi
nonostante non fossimo famosi, mentre lei era già una nota scrittrice.
Il film è diverso dal libro, dove la storia è incentrata su Meera.
Invece il film si è concentrato sul personaggio maschile del padre della
ragazza. Quando abbiamo iniziato a lavorare siamo entrati molto in
empatia con questo personaggio perché io ho una figlia di 18 anni e
anche il produttore è padre di una figlia femmina. Ecco perché il film è
orientato più sulla figura paterna e anche noi come padri di due figlie
femmine siamo confusi, ci interroghiamo: ‘abbiamo fatto bene a educarle
in questo modo?’. Molti mi hanno chiesto soluzioni, risposte, ma non ho
certezze. Infatti il film pone domande, non offre risposte.
Si è trattato di un investimento coraggioso, è stato difficile trovare un produttore?
No, perché lui ci credeva, era convinto e voleva fare il film.
Il film è presentato questa sera a River to river in anteprima europea, come è stato accolto in India?
E’ uscito nelle sale in India ad aprile. La referente per le
Nazioni Unite per l’India e il Buthan ha supportato molto il film, ha
organizzato incontri e conferenze anche in contesti accademici.
Il film ha vinto il premio come miglior film indiano in
lingua inglese al 60° National Film Awards, l’Oscar del cinema indiano,
ma oltre l’inglese si sente anche un’altra lingua, rispecchiando in tal
modo il multilinguismo del subcontinente. Perché questa scelta?
I giovani in India parlano lingue diverse, nelle città si parla
inglese mentre nell’India rurale si parlano le lingue delle diverse
regioni.
I comportamenti liberi o anticonformisti di Meera sono sempre puniti da sensi di colpa. Perché?
Perché le persone sono deboli e lei è una persona debole. Nel film non
ci sono personaggi ideali, ma reali, con le loro debolezze. In fondo
siamo un po’ tutti così. I personaggi non sono dei vincenti, sono dei
perdenti.
Sono le stesse donne a non combattere, anche la testimone, ha visto tutto, ma non ha difeso Smriti, non è intervenuta. Come mai?
Lei infatti è impaurita, si nasconde. Non volevamo rappresentare, come
di solito accade in altri film indiani, il personaggio che, alla fine,
trova la soluzione, risolve o vince. Nel libro è il medico il mandante
della violenza: se nel film avessimo identificato un colpevole allora il
padre si sarebbe scagliato contro di lui per vendicare la figlia. Non
volevamo rappresentare la vendetta.
I suoi progetti futuri, il prossimo film?
Sto lavorando ad un film insieme allo stesso produttore, siamo una squadra affiatata e lavoriamo bene insieme.
TAFTER è mediapartner di River to River - Florence Indian Film Festival